di
Stefano Uberti Foppa
pubblicato su ZeroUno - 16 Nov 2018 - https://www.zerounoweb.it/editoriali/la-dove-sorge-il-sol-dellavvenir/
…E
il fatto che l’evoluzione tecnologica sia così rapida e continua,
permetterà a molti di poter dire: “io c’ero”. Dove? A vedere e
a vivere cosa? La radicale trasformazione dell’attuale informatica,
da passiva e orientata ad un’esecuzione attraverso linguaggi e
comandi complessi, ad un modello intelligente, autonomo, in grado di
apprendere, migliorarsi di continuo e di relazionarsi in forme
semplici, da pari con la persona, nel suo stesso linguaggio
evoluto: l’era
dell’Intelligenza Artificiale.
Non
stiamo parlando di una nuova fase di evoluzione tecnologica lineare,
così come avvenuta negli scorsi decenni, ma del punto di maturazione
e convergenza funzionale di tecnologie hardware, software e
di rete,
che consentono l’uso di una intelligenza, artificiale, anch’essa
in una nuova fase di maturazione e applicabilità, destinata a
cambiare alla base, meccanismi e modelli sociali (con nuove forme di
lavoro, nuove professioni, rapporti economici e sistemi produttivi
differenti, modalità relazionali uomo-macchina sulle quali ripensare
il mercato del lavoro). Insomma, serve rendersi conto che siamo agli
inizi di una nuova era in cui, probabilmente entro pochi anni, gli
attuali parametri che regolano le nostre società, verranno ripensati
e riformulati grazie al ricorso e al ruolo di queste tecnologie.
Cosa
sta accadendo? Cominciamo dal business nel nostro day by day, quello
che è a noi più vicino, dalle applicazioni che usiamo ogni giorno
(ovunque e su ogni dispositivo) quando lavoriamo. L’intelligenza
artificiale e il machine
learning,
grazie alla disponibilità elaborativa garantita dal cloud,
da sistemi con infrastrutture integrate e super performanti, con
semiconduttori innovativi in grado di reggere capacità elaborative
enormi, reti
ultraveloci e sempre più intelligenti,
entrano in modo pervasivo nella fruizione di differenti moduli
applicativi. Chi fa marketing,
sales, chi opera all’interno di supply
chain o
nella produzione
industriale,
già si trova ad avere sempre più funzioni di intelligenza e di
autonomia operativa (autonomous) che lo aiutano nel proprio lavoro.
Tecnologie di AI integrate nelle funzioni dei servizi applicativi in
cloud che vanno ad impattare subito su attività ancora oggi svolte
manualmente: ERP (30%
la percentuale manuale nella compilazione e gestione di fogli
Excel); SCM (65%
nel tracking delle merci); CRM (60%
nel supporto e nella relazione telefonica con i clienti); HCM (35% in
attività routinarie di gestione amministrativa delle persone).
Una intimità uomo-macchina
Una intimità uomo-macchina
In
che modo avviene questo affiancamento all’essere umano e al suo
lavoro?
Funzioni
di intelligenza
artificiale e machine learning applicate all’analisi dei
dati (sempre
più big
data),
in rapporto al tipo di richiesta, al tipo di utilizzo che la persona
sta facendo in quel momento o che abitualmente si trova a compiere,
offrono risposte, indicazioni, percorsi da seguire, suggerimenti
derivati da una continua attività sotterranea di autoapprendimento e
miglioramento attraverso l’analisi dei dati, studiando modelli e
utilizzando pattern in funzione delle esigenze operative dell’utente
che sta usando quella specifica applicazione. E in aggiunta, per
creare ancora maggiore “affinità” e “intimità”
uomo-macchina, ecco uno sviluppo imponente, già alla soglia di un
primo livello di maturità, rappresentato dalle interfacce vocali.
Non i semplici assistenti che abbiamo oggi sullo smartphone,
ma intelligent
conversational agents che
lavorano con noi, che ci danno, dopo che l’applicazione ha
analizzato i dati, le risposte e le indicazioni operative opportune,
si confrontano con le nostre obiezioni e le richieste di ulteriori
analisi, capiscono il nostro modo di operare, organizzano e
pianificano attività, e in una forma linguistica perfettamente
“umana”, ci coadiuvano nel nostro lavoro.
Tutto
questo è già possibile e già avviene oggi, anche se siamo alle
prime forme.
Dove
si inseriscono questi elementi di automazione e di intelligenza? In
un contesto evolutivo sia del business di impresa sia del nostro modo
di vivere, in cui i dati rappresentano la maggiore fonte a cui
attingiamo quotidianamente per fare ogni cosa. E la capacità di
utilizzare questa fonte nel modo più opportuno e più efficace
comincia a rappresentare un forte differenziale tra le persone, tra
le aziende, tra le nazioni.
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Le dimensioni dell’artificial intelligence journey Fonte: Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano |
Tra
le persone.
Il dibattito sull’impatto
dell’intelligenza artificiale sull’evoluzione delle persone e del
lavoro è
oggi molto vivo, anche se non ha ancora “scaricato a terra” nulla
di concreto a livello normativo. Certamente il Gdpr e
tutte le norme che cercano di definire regolamentazioni in tema
di privacy e
di trattamento dei dati, andranno sempre più applicate da una
corretta prospettiva, cioè non quella di obblighi di compliance ai
quali, rispettando una check list, bisogna assolvere, ma una guida
indispensabile per muoversi il meglio possibile nel contesto
digitale, sociale e di business e nella sua materia prima, i dati.
Con
l’AI siamo nella fase di studio, di confronto e di prima
comprensione. Ma certo la domanda, e la retribuzione delle persone, è
prevista in forte aumento per chi saprà nei prossimi anni sviluppare
competenze ed esperienze in lavori in cui è difficile applicare
criteri di automazione, lavori ad alto contenuto cognitivo. Una nuova
serie di attività ripetitive saranno invece inevitabilmente
sostituite, ad una velocità però maggiore del tasso di sostituzione
che ha caratterizzato l’impatto dell’informatica per come
l’abbiamo fino ad oggi conosciuto. La rivoluzione delle competenze
toccherà molti ambiti professionali. Ad esempio nell’It, veniva
citato al recente Oracle Openworld
di San Francisco,
si cercheranno professionisti dei dati, robot supervisor, specialisti
nella gestione delle interfacce uomo-macchina, smart city tech
designer, specialisti di sistemi AI applicati al mondo sanitario e a
tanti altri settori, ecc. E naturalmente si aprirà una vera e
propria “guerra dei talenti” tra le aziende per accaparrarsi le
competenze indispensabili.
Quali
riflessioni e tentativi di risposta la nostra società sta dando a
questa rivoluzione delle competenze? Interessante, ad un recente
incontro “Dialoghi
tra l’oggi e il futuro”
organizzato da Microsoft,
la posizione espressa da Marco Bentivogli, segretario generale
della Fim
Cisl,
considerando il sindacato una delle parti sociali che se fino ai
tempi di una classica industrializzazione ha saputo occupare uno
spazio di contrattazione collettiva significativo, ha poi via via
perso di peso politico fino all’attuale relativa marginalizzazione
nell’era digitale: “è mancata innanzitutto al sindacato la
competenza rispetto alla tecnologia e al futuro. C’era bisogno di
trovare nemici a buon prezzo: il digitale, la globalizzazione…La
verità è che il digitale può solo far bene al sindacato e al
lavoro, ma certamente va ripensato in modo nuovo il concetto di
tutela. Oggi il lavoro nel mondo del digitale non è né dipendente
né autonomo. Oggi si parla di contratto ibrido. Dire che lo smart
worker può essere solo un lavoratore dipendente, è una follia. Il
digitale spiana le organizzazioni burocratiche e noi su questo non
siamo stati in grado di immaginare il futuro della persona. Anzi,
peggio: abbiamo commesso una follia ideologica provando a inscatolare
il digitale e il mondo del lavoro nuovo nelle logiche e nei criteri
organizzativi del mondo del lavoro del 900. Bisogna girare pagina e
scrivere su un foglio bianco”.
Tra
le aziende.
Un recente studio McKinsey ha
stimato l’impatto delle tecniche di AI sul Pil in rapporto
all’aumento di attività economica globale da queste generata:
circa 13 trilioni di dollari dal 2030 con un impatto di 1,2%
addizionale sul Pil per anno. Il confronto viene fatto con altre
tecnologie introdotte nei secoli scorsi, il cui impatto economico è
stato misurato: nel 1800, con la seconda fase della rivoluzione
industriale e l’introduzione dei motori a vapore, la stima è stata
dello 0,3% sul Pil; la robotizzazione della produzione attorno agli
anni 1990 ha portato +0,4%; la diffusione dell’information
technology, misurata attorno all’anno 2000, lo 0.6%.
In
questo contesto, le imprese sono chiamate a ridisegnare le proprie
organizzazioni, le competenze al loro interno, a sviluppare modelli
interpretativi della complessità competitiva, a proporre nuovi
modelli relazionali con il mercato e con i clienti sulla base di uno
sfruttamento pervasivo, distribuito nella propria organizzazione, di
tecnologie di Intelligenza artificiale. Il rischio di perdere
competitività, nel non farlo, proprio per il potenziale che questi
sistemi hanno e le opportunità che aprono, è alto.
Tra
nazioni.
L’applicazione di queste tecniche di intelligenza alla difesa di un
paese, all’analisi economica o alla creazione di consenso politico,
sulla base di un autoapprendimento da grandi moli di dati, aprono
scenari di tipo strategico che una nazione non può sottovalutare. A
questo proposito grande attenzione, se non preoccupazione,
soprattutto negli Usa, viene
data oggi alla Cina, che sta mettendo in atto un piano quinquennale
strategico nazionale (2016-2020) per lo sviluppo dell’intelligenza
artificiale(dichiarando
di voler essere il paese leader mondiale in queste tecnologie a
partire dal 2030), in primis applicato al segmento business in ambito
supply chain, ma destinato a pervadere ogni comparto strategico
nazionale. Anche l’Europa ha messo a punto un piano da 24 miliardi
di dollari destinati alla ricerca in tecnologie AI e i singoli paesi
hanno in corso iniziative parallele su questo tema, con un dibattito
aperto e continuo su aspetti, non secondari, legati alle implicazioni
etiche di un trasferimento di conoscenza e intelligenza alle
tecnologie e al rapporto tra queste e l’essere umano.
Chiudiamo
con una considerazione, presa dal filosofo Luciano Floridi
(professore ordinario di filosofia ed etica dell’informazione
all’Università
di Oxford)
presente anch’egli all’incontro Microsoft prima citato: “Negli
anni 90, rispetto al futuro che le tecnologie ci avrebbero
consentito, ci siamo ubriacati di un ottimismo sgangherato,
californiano. Vent’anni dopo non è che abbiamo sbagliato, è che
le cose sono diventate normali. Però a me sembra manchi oggi una
parola di speranza. C’è molto interesse economico, interesse
privato e poca speranza. Invece le tecnologie danno speranza,
facilità di interazione, collaborazione e conoscenza. Dobbiamo
guardare all’innovazione senza quell’ottimismo che non aveva
senso anni fa ma anche senza il pessimismo che non ha senso oggi”.
In pratica, sostiene il filosofo si deve guardare al futuro
tecnologico, in una osmosi con l’essere umano in cui quest’ultimo
sia davvero al centro dello sviluppo e ricercando un equilibrio che
in tutti questi anni di consumo, di ricerca di profitto e di
sfruttamento intensivo di risorse, non è mai stato considerato. È
venuto il momento di riportare al centro l’essenza e l’esigenza
umana e, perché no, una priorità legata ad un benessere e ad una
felicità in cui le tecnologie potranno giocare, insieme a noi, una
parte importante.
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