mercoledì 27 marzo 2019

Big Tech sotto attacco: in gioco i nuovi equilibri economici, politici e sociali


Da innovatori ammirati a pericolosi monopolisti? Il dibattito su come inquadrare lo sviluppo economico esponenziale e il conseguente potere legato all'analisi dei dati da parte delle più famose aziende tecnologiche mondiali è aperto. Ma in realtà, dietro c'è una guerra senza esclusione di colpi per la ridefinizione degli equilibri geopolitici globali





di Stefano Uberti Foppa

Elisabeth Warren, senatrice dell'ala sinistra del partito democratico americano, in corsa per le presidenziali del 2020, vuole “spezzettare”, se verrà eletta, le Big Tech di casa per ridurre il loro strapotere. Amazon, Google, Apple e Facebook, su tutte, dovrebbero così frammentarsi in società distinte in relazione ai diversi ambiti di attività svolta, per evitare pericolose sinergie molto vicine a monopoli e posizioni dominanti.
Al di là degli annunci e delle speranze (poche) di poter attuare una simile iniziativa e al di là di un radicalismo del partito democratico americano che lo stesso Barack Obama invita a non perseguire fino in fondo (Trump ha già pronto lo spettro del “socialismo liberticida” come parola d'ordine della sua prossima campagna elettorale), la proposta della senatrice rientra pienamente in un “cambiamento di direzione di vento” rispetto alle Big Tech americane. E' una new wave dettata dalla necessità di aprire un vero confronto in merito al ruolo di condizionamento e di potere che l'aggregazione di grandissimi moli di dati di consumatori e frequentatori del Web, cioè tutti noi, nelle mani di queste realtà, sta determinando. Sia sul piano della loro capacità commerciale e di sviluppo del business sia su quello più sociale e politico.
Big Tech sotto attacco: il dibattito in corso – imprese da ammirare per come hanno innovato la nostra vita o pericolosi monopolisti da combattere?” era il titolo di un interessante incontro svoltosi ieri al Politecnico di Milano all'interno della serie dei “Digital InnovationTalks” che l'università periodicamente organizza.
Numerosi i relatori presenti per una veloce analisi su un tema così complesso.
Il disegno di contesto è stato tracciato da Umberto Bertelè, professore emerito di Strategia di Impresa, chairman Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano. E' importante, questa in sintesi la fotografia, avere la consapevolezza della dimensione della sfida: in termini di capitalizzazioni di borsa, Apple, Google e Amazon valgono circa 3600 miliardi di dollari, a cui vanno aggiunti altri 5.000 miliardi di dollari rappresentati da Facebook e dalle cinesi Alibaba e Tencent. Dietro queste, ci sono miliardi di utenti nel mondo i quali, quotidianamente, navigano, comprano, ricercano e svolgono di fatto una vita digitale basata su dati e informazioni presi e immessi nel web. E' una situazione che in tempi rapidissimi ha fatto emergere potenzialità e atteggiamenti pericolosi: le accuse principali, alle Big Tech, vanno dall'elusione/evasione fiscale, al disprezzo delle regolamentazioni; ad abusi della posizione dominante per avviare iniziative a proprio interesse; a violazioni della privacy, sia per disattenzione sia in modo doloso, per sfruttare il valore che hanno questi dati in una profilazione delle persone orientata al digital advertising; violazione della proprietà intellettuale, fino all'accusa di essere, anche qui più o meno consapevolmente, vettori di fake news sia per incapacità nel controllare il flusso di informazioni sia per una leggerezza con cui vengono resi disponibili dati personali in loro possesso utilizzati poi per una profilazione politica (come l'eclatante caso di Cambridge Analytica).

La battaglia per la supremazia geopolitica attraverso la tecnologia
Insomma, i motivi di inquietudine sono molteplici e si inseriscono in approcci culturali, legislativi e politici profondamente diversi, in tema di trattamento dei dati e di privacy, tra Stati Uniti, Europa e Cina. Un liberismo spinto, per quanto riguarda gli USA, che solo oggi viene parzialmente messo in discussione sul tema dell'analisi dei dati e delle informazioni. Molto parzialmente, in verità, perchè essendo l'amministrazione Trump impegnata in una battaglia politica ed economica con la Cina, ogni regola all'utilizzo di dati e informazioni da parte delle imprese e organizzazioni americane rischia di essere vista, soprattutto dal fronte dei conservatori, come un freno, una restrizione alla capacità di competere sui mercati, per contrastare il ruolo cinese nello scacchiere economico e strategico mondiale. E poi c'è l'Europa, avanzata sotto il profilo legislativo ma che ha poca voce in capitolo nella battaglia economico-digitale in corso, in quanto rappresenta fondamentalmente un mercato di sbocco, sia per Cina sia per Stati Uniti, ma non dispone di un livello di competitor in ambito digitale del livello di Google, Amazon e altri. Inoltre, la UE, sinora dura nelle misure antitrust emanate, rischia di essere esposta a ritorsioni, sia da parte USA sia cinese, nelle sue diverse industrie e player.


Insomma, questo il senso ancora più profondo emerso dall'incontro, l'attenzione sulle Big Tech si inserisce in realtà in una guerra più ampia, quella della ridefinizione strategica del peso geopolitico nel mondo soprattutto di USA, Cina, India, Europa, Russia. Ormai ha infatti sempre meno senso fare una distinzione tra sviluppo economico/commerciale e tecnologie digitali. I mercati, i settori, vivono e si modellano sulla base di infrastrutture che hanno nell'informatica e nell'analisi dei dati gli elementi di riferimento, sia per quanto riguarda l'ottimizzazione e l'efficienza, sia per lo sviluppo del business e la capacità di innovazione e quindi di crescita economica e sociale. I temi da affrontare sono complessi ma essenziali per lo sviluppo di un proprio ruolo nello scacchiere economico e politico mondiale: in un'economia in cui gli algoritmi sono parte integrante e spesso a guida di decisioni e strategie serve porsi oggi delle domande, emanare delle regolamentazioni e farle rispettare, nonché assumere una strategia politica coerente per capire chi e come è coinvolto nella scrittura di questi modelli matematici e di sempre maggiore automazione (leggi anche sviluppo di Intelligenza Artificiale) che impattano la struttura dei mercati. Senza dimenticare che il mercato del lavoro sta profondamente cambiando ricercando nuove competenze proprio sulla base di questa digitalizzazione diffusa.

Liberismo o regolamentazione estremi? Serve un punto di equilibrio
Quello del rischio di concentrazione di potere non è certo un dibattito nuovo in economia. Come ha ricordato Sergio Mariotti, professore ordinario di Economia dei Sistemi Industriali, Politecnico di Milano, la dialettica è tra economia strutturale, in cui si sostiene che dove c'è più concentrazione c'è più abuso e più pericolo e quindi è giusto intervenire per sanare la situazione, e la cosiddetta “scuola di Chicago”, una scuola di pensiero economista fortemente liberista (non a caso influenzò non poco le politiche economiche di Regan e della Thatcher), in cui si afferma che questa concentrazione non va combattuta perchè ci penseranno fisiologicamente le dinamiche di mercato e l'innovazione naturale a soppiantare, con nuovi attori, questi agglomerati. Il dibattito, anche nel mondo della tecnologia, si è spesso sviluppato attorno a questi poli: non interventismo e liberismo estremo da un lato, contro politiche di break up delle Big Tech, con addirittura scioglimento delle acquisizioni effettuate in passato, dall'altro. In più Mariotti ha sottolineato un punto interessante dell'attuale situazione: in genere la crescita delle Big Tech è avvenuta per acquisizioni di start up “uccise nella culla” o per processi imitativi che hanno messo fuori campo il competitor di turno (Google vanta una media di 1 acquisizione ogni 18 giorni). Le operazioni di merge & acquisition di Amazon, Google, Apple, Facebook e Microsoft sono state circa 400 negli ultimi 10 anni. Quest'azione sistematica di eliminazione delle start up, soprattutto in Silicon Valley, sta determinando, dal 2012 ad oggi, un'evidente riduzione del 20% del numero di start up finanziate dai ventur capitalist statunitensi, proprio perchè questi ultimi ritengono meno conveniente che in passato investire in realtà sì interessanti, ma dal breve futuro perchè potenzialmente assorbibili dalle Big Tech, con un effetto non trascurabile sugli stimoli all'innovazione nella struttura del Paese.
Insomma il messaggio è chiaro: trovare un punto di equilibrio. Una certa regolamentazione serve perchè in alcuni casi “si è superato il limite”, ma nessuno si sogna di non considerare il valore positivo che le Big Tech hanno avuto e hanno nella trasformazione economica e sociale in atto. Francesco Caio, Presidente di Saipem, ha ricordato come oggi nei convegni si parli certamente tanto di dati, ma nei consigli di amministrazione, gli economics correlati ai dati e alle informazioni non sono ancora un tema centrale. E' invece ugente, in una data economy, definire dei modelli precisi per creare e distribuire il valore. Nel frattempo, le Big Tech continuano ad espandersi in nuovi mercati e in settori tradizionali, portando disruption a proprio beneficio. Federico Fubini, vicedirettore del Corriere della Sera, ha ben fotografato in sintesi e come esempio, la posizione di Amazon. La parte retail, non quella AWS, opera da tempo in Europa senza utili. Perchè? Perchè reputa importante disporre di dati da utilizzare per sviluppare nuovi business, per diversificare le proprie strategie. In ambito assicurativo e bancario, si generano e si migliorano di continuo servizi e prodotti a partire dall'analisi dei dati. Con software di Intelligenza artificiale/riconoscimento facciale si possono profilare le persone in rapporto ai loro gusti semplicemente sfruttando le loro foto sui social. Con il risultato di chiudere le persone all'interno di “gabbie comportamentali e di proposta” derivate in gran parte da algoritmi. Insomma, il mondo sta cambiando non soltanto nelle abitudini evidenti di noi consumatori, ma per la guerra senza esclusione di colpi che sta avvenendo a livello infrastrutturale, economico e politico. Sono gli anni in cu si sta disegnando il futuro di tutti noi e dei nostri figli, e a questi tavoli l'Italia, inevitabilmente all'interno dell'Europa, non può mancare.




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