Da
innovatori ammirati a pericolosi monopolisti? Il dibattito su come
inquadrare lo sviluppo economico esponenziale e il conseguente potere
legato all'analisi dei dati da parte delle più famose aziende
tecnologiche mondiali è aperto. Ma in realtà, dietro c'è una
guerra senza esclusione di colpi per la ridefinizione degli equilibri
geopolitici globali
di
Stefano Uberti Foppa
Elisabeth
Warren, senatrice dell'ala sinistra del partito democratico
americano, in corsa per le presidenziali del 2020, vuole
“spezzettare”, se verrà eletta, le Big Tech di casa per ridurre
il loro strapotere. Amazon, Google, Apple e Facebook,
su tutte, dovrebbero così frammentarsi in società distinte in
relazione ai diversi ambiti di attività svolta, per evitare
pericolose sinergie molto vicine a monopoli e posizioni dominanti.
Al
di là degli annunci e delle speranze (poche) di poter attuare una
simile iniziativa e al di là di un radicalismo del partito
democratico americano che lo stesso Barack Obama invita a non
perseguire fino in fondo (Trump ha già pronto lo spettro del
“socialismo liberticida” come parola d'ordine della sua prossima
campagna elettorale), la proposta della senatrice rientra pienamente
in un “cambiamento di direzione di vento” rispetto alle Big Tech
americane. E' una new wave dettata dalla necessità di aprire un vero
confronto in merito al ruolo di condizionamento e di potere che
l'aggregazione di grandissimi moli di dati di consumatori e
frequentatori del Web, cioè tutti noi, nelle mani di queste realtà,
sta determinando. Sia sul piano della loro capacità commerciale e di
sviluppo del business sia su quello più sociale e politico.
“Big
Tech sotto attacco: il dibattito in corso – imprese da ammirare per
come hanno innovato la nostra vita o pericolosi monopolisti da
combattere?” era il titolo di un interessante incontro svoltosi
ieri al Politecnico di Milano all'interno della serie dei “Digital
InnovationTalks” che l'università periodicamente organizza.
Numerosi
i relatori presenti per una veloce analisi su un tema così
complesso.
Il
disegno di contesto è stato tracciato da Umberto
Bertelè, professore emerito di Strategia di Impresa, chairman
Osservatori Digital Innovation
del Politecnico di Milano. E' importante, questa in sintesi la
fotografia, avere la consapevolezza della dimensione della sfida: in
termini di capitalizzazioni di borsa, Apple, Google e Amazon valgono
circa 3600 miliardi di dollari, a cui vanno aggiunti altri 5.000
miliardi di dollari rappresentati da Facebook e dalle cinesi Alibaba
e Tencent. Dietro
queste, ci sono miliardi di utenti nel mondo i quali,
quotidianamente, navigano, comprano, ricercano e svolgono di fatto
una vita digitale basata su dati e informazioni presi e immessi nel
web. E' una situazione che in tempi rapidissimi ha fatto emergere
potenzialità e atteggiamenti pericolosi: le accuse principali, alle
Big Tech, vanno dall'elusione/evasione fiscale, al disprezzo delle
regolamentazioni; ad abusi della posizione dominante per avviare
iniziative a proprio interesse; a violazioni della privacy, sia per
disattenzione sia in modo doloso, per sfruttare il valore che hanno
questi dati in una profilazione delle persone orientata al digital
advertising; violazione della proprietà intellettuale, fino
all'accusa di essere, anche qui più o meno consapevolmente, vettori
di fake news sia per incapacità nel controllare il flusso di
informazioni sia per una leggerezza con cui vengono resi disponibili
dati personali in loro possesso utilizzati poi per una profilazione
politica (come l'eclatante caso di Cambridge Analytica).
La
battaglia per la supremazia geopolitica attraverso la tecnologia
Insomma,
i motivi di inquietudine sono molteplici e si inseriscono in approcci
culturali, legislativi e politici profondamente diversi, in tema di
trattamento dei dati e di privacy, tra Stati Uniti, Europa e Cina. Un
liberismo spinto, per quanto riguarda gli USA, che solo oggi viene
parzialmente messo in discussione sul tema dell'analisi dei dati e
delle informazioni. Molto parzialmente, in verità, perchè essendo
l'amministrazione Trump impegnata in una battaglia politica ed
economica con la Cina, ogni regola all'utilizzo di dati e
informazioni da parte delle imprese e organizzazioni americane
rischia di essere vista, soprattutto dal fronte dei conservatori,
come un freno, una restrizione alla capacità di competere sui
mercati, per contrastare il ruolo cinese nello scacchiere economico e
strategico mondiale. E poi c'è l'Europa, avanzata sotto il profilo
legislativo ma che ha poca voce in capitolo nella battaglia
economico-digitale in corso, in quanto rappresenta fondamentalmente
un mercato di sbocco, sia per Cina sia per Stati Uniti, ma non
dispone di un livello di competitor in ambito digitale del livello di
Google, Amazon e altri. Inoltre, la UE, sinora dura nelle misure
antitrust emanate, rischia di essere esposta a ritorsioni, sia da
parte USA sia cinese, nelle sue diverse industrie e player.
Insomma,
questo il senso ancora più profondo emerso dall'incontro,
l'attenzione sulle Big Tech si inserisce in realtà in una guerra più
ampia, quella della ridefinizione strategica del peso geopolitico nel
mondo soprattutto di USA, Cina, India, Europa, Russia. Ormai ha
infatti sempre meno senso fare una distinzione tra sviluppo
economico/commerciale e tecnologie digitali. I mercati, i settori,
vivono e si modellano sulla base di infrastrutture che hanno
nell'informatica e nell'analisi dei dati gli elementi di riferimento,
sia per quanto riguarda l'ottimizzazione e l'efficienza, sia per lo
sviluppo del business e la capacità di innovazione e quindi di
crescita economica e sociale. I temi da affrontare sono complessi ma
essenziali per lo sviluppo di un proprio ruolo nello scacchiere
economico e politico mondiale: in un'economia in cui gli algoritmi
sono parte integrante e spesso a guida di decisioni e strategie serve
porsi oggi delle domande, emanare delle regolamentazioni e farle
rispettare, nonché assumere una strategia politica coerente per
capire chi e come è coinvolto nella scrittura di questi modelli
matematici e di sempre maggiore automazione (leggi anche sviluppo di
Intelligenza Artificiale) che impattano la struttura dei mercati.
Senza dimenticare che il mercato del lavoro sta profondamente
cambiando ricercando nuove competenze proprio sulla base di questa
digitalizzazione diffusa.
Liberismo
o regolamentazione estremi? Serve un punto di equilibrio
Quello
del rischio di concentrazione di potere non è certo un dibattito
nuovo in economia. Come ha ricordato Sergio
Mariotti, professore ordinario di Economia dei Sistemi Industriali,
Politecnico di Milano,
la dialettica è tra economia strutturale, in cui si sostiene
che dove c'è più concentrazione c'è più abuso e più pericolo e
quindi è giusto intervenire per sanare la situazione, e la
cosiddetta “scuola di Chicago”, una scuola di pensiero economista
fortemente liberista (non a caso influenzò non poco le politiche
economiche di Regan e della Thatcher), in cui si afferma che questa
concentrazione non va combattuta perchè ci penseranno
fisiologicamente le dinamiche di mercato e l'innovazione naturale a
soppiantare, con nuovi attori, questi agglomerati. Il dibattito,
anche nel mondo della tecnologia, si è spesso sviluppato attorno a
questi poli: non interventismo e liberismo estremo da un lato, contro
politiche di break up delle Big Tech, con addirittura scioglimento
delle acquisizioni effettuate in passato, dall'altro. In più
Mariotti ha sottolineato un punto interessante dell'attuale
situazione: in genere la crescita delle Big Tech è avvenuta per
acquisizioni di start up “uccise nella culla” o per processi
imitativi che hanno messo fuori campo il competitor di turno (Google
vanta una media di 1 acquisizione ogni 18 giorni). Le operazioni di
merge & acquisition di Amazon, Google, Apple, Facebook e
Microsoft sono state circa 400 negli ultimi 10 anni. Quest'azione
sistematica di eliminazione delle start up, soprattutto in Silicon
Valley, sta determinando, dal 2012 ad oggi, un'evidente riduzione del
20% del numero di start up finanziate dai ventur capitalist
statunitensi, proprio perchè questi ultimi ritengono meno
conveniente che in passato investire in realtà sì interessanti, ma
dal breve futuro perchè potenzialmente assorbibili dalle Big Tech,
con un effetto non trascurabile sugli stimoli all'innovazione nella
struttura del Paese.
Insomma
il messaggio è chiaro: trovare un punto di equilibrio. Una certa
regolamentazione serve perchè in alcuni casi “si è superato il
limite”, ma nessuno si sogna di non considerare il valore positivo
che le Big Tech hanno avuto e hanno nella trasformazione economica e
sociale in atto. Francesco Caio, Presidente di Saipem, ha
ricordato come oggi nei convegni si parli certamente tanto di dati,
ma nei consigli di amministrazione, gli economics correlati ai dati e
alle informazioni non sono ancora un tema centrale. E' invece ugente,
in una data economy, definire dei modelli precisi per creare e
distribuire il valore. Nel frattempo, le Big Tech continuano ad
espandersi in nuovi mercati e in settori tradizionali, portando
disruption a proprio beneficio. Federico Fubini, vicedirettore del
Corriere della Sera, ha ben fotografato in sintesi e come
esempio, la posizione di Amazon. La parte retail, non quella AWS,
opera da tempo in Europa senza utili. Perchè? Perchè reputa
importante disporre di dati da utilizzare per sviluppare nuovi
business, per diversificare le proprie strategie. In ambito
assicurativo e bancario, si generano e si migliorano di continuo
servizi e prodotti a partire dall'analisi dei dati. Con software di
Intelligenza artificiale/riconoscimento facciale si possono profilare
le persone in rapporto ai loro gusti semplicemente sfruttando le loro
foto sui social. Con il risultato di chiudere le persone all'interno
di “gabbie comportamentali e di proposta” derivate in gran parte
da algoritmi. Insomma, il mondo sta cambiando non soltanto nelle
abitudini evidenti di noi consumatori, ma per la guerra senza
esclusione di colpi che sta avvenendo a livello infrastrutturale,
economico e politico. Sono gli anni in cu si sta disegnando il futuro
di tutti noi e dei nostri figli, e a questi tavoli l'Italia,
inevitabilmente all'interno dell'Europa, non può mancare.
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